
I globalshock alimentari dalla mucca pazza in avanti e la crescente attenzione alla tutela della salute hanno dato impulso alla voglia di sicurezza e genuinità dei prodotti, tendenza che si è impastata con quelle più consolidate di ricerca incessante della convenienza e della compressione dei tempi di acquisto e preparazione dei pasti.
A prevalere è un politeismo fatto di combinazioni soggettive di luoghi di acquisto dei prodotti e relative diete alimentari, e la crisi recente non ha fatto che rinforzare questa dinamica dei comportamenti sociali; così il rapporto con il cibo è una dimensione sempre più soggettiva, espressione dell’io che decide e che, a partire dalle proprie preferenze, abitudini, proprie
aspettative, nonché dalle risorse di cui dispone, definisce il contenuto del carrello e della tavola.
Non esiste il Mcmondo che come un Grande Fratello indirizza i carrelli della spesa, esistono consumatori che, con una miscela originale di motivazioni e obiettivi, definiscono una propria specifica combinazione di alimenti e luoghi di acquisto, tanto da poter dire che il modello alimentare prevalente è in realtà un patchwork di opzioni che spesso, in punto di principio, possono anche apparire contraddittorie. Così, ad esempio:
– tra le persone che dichiarano di acquistare regolarmente prodotti Dop, Igp, comportamento che denota grande attenzione alla qualità, una quota non lontana da un terzo acquista regolarmente anche cibi precotti, addirittura ben più di due terzi acquista regolarmente scatolame, e oltre tre quarti surgelati;
– tra coloro che acquistano regolarmente prodotti dell’agricoltura biologica, circa tre quarti acquista anche surgelati, circa due terzi anche scatolame, e una percentuale simile prodotti con marchio del distributore;
– tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio equo e solidale una nettissima maggioranza acquista i prodotti a marchio commerciale del distributore, espressione della nuova forza della Gdo, oltre tre quarti acquista prodotti surgelati ed oltre due terzi scatolame.
Addirittura si recano presso i fast-food, il 27% di acquirenti abituali di prodotti del commercio equo e solidale, il 26,7% degli acquirenti abituali di frutta e verdura da agricoltura biologica, il 22,6% degli acquirenti di prodotti Dop e Igp, ed il 21,6% di coloro che acquistano direttamente dal produttore.
Sono questi esempi eclatanti di un politeismo alimentare che spinge le persone a mangiare di tutto, senza tabù, generando combinazioni soggettive di alimenti e anche di luoghi ove acquistarli, neutralizzando ogni ortodossia alimentare.
Fissata questa soggettività estrema delle dinamiche, che rende possibile agli stessi individui e alle stesse famiglie fare convivere comportamenti e tendenze di acquisto e consumo molto diversificate, ci sono però alcune tendenze specifiche che vanno focalizzate: in primo luogo, la qualità sostenibile, che significa riuscire ad avere una dieta che risponde ai propri
gusti, è di qualità adeguata, garantisce sicurezza e sia anche conveniente; é una specie di quadratura del cerchio che riesce solo grazie alla capacità dei consumatori italiani di pizzicare nella struttura di offerta le opportunità migliori, di recuperare, tenuto conto dei vincoli di tempo e soldi, i beni desiderati al miglior prezzo possibile.
Poi la logica da consumatore responsabile, attento non solo al contenuto degli alimenti ma a come sono prodotti, all’impatto che la loro produzione e distribuzione ha sulla vita delle persone, sui legami sociali e sull’ambiente; non a caso è alta anche l’attenzione al rapporto tra il cibo e il proprio territorio, vissuto come un contesto ben conosciuto e rassicurante, che risponde sia ad un’inedita dimensione identitaria, che alle paure globali indotte dagli effetti dell’industrializzazione spinta e incontrollata dell’agroalimentare.
La crisi come ha operato rispetto alle dinamiche indicate? Anche per i consumi agroalimentari essa ha potenziato alcune dinamiche di più lungo corso, a cominciare dal rapporto meno compulsivo con i consumi, che si esprime in una marcata tendenza a tagliare sprechi e consumi percepiti come eccessivi.
Anche nella crisi, però, il minore consumerismo non vuol dire rassegnarsi ad una qualità non adeguata dei prodotti o rinunciare in alcuni momenti o per alcuni specifici bisogni, a togliersi qualche sfizio spendendo qualche soldo in più; prevale pertanto un’attitudine combinatoria, una soggettiva miscela di canali di acquisto differenziati per momenti e/o per beni.
E’ chiaro che l’avanzata delle Gdo è, in prospettiva storica e sotto gli effetti della crisi, irresistibilmente incentivata da questi processi così come il connesso declino degli esercizi più tradizionali; tuttavia, rispetto al dualismo grande distribuzione-negozi tradizionali, giocata sul prezzo e sul servizio incorporato nei beni, spicca la crescita degli acquisti diretti dal produttore, inclusi i Mercati del contadino, che sono percepiti come una soluzione che risponde ad alcune esigenze forti, come il prezzo conveniente, la genuinità e la sicurezza del prodotto. A questo proposito, va tenuto presente che circa un quarto degli italiani che dichiara di non mangiare abbastanza frutta fresca ne mangerebbe di più se costasse un po’ meno, e circa un quinto farebbe la stessa cosa con la verdura e gli ortaggi.
Sul contenuto dei pasti, trova conferma nella presente ricerca una certa spinta salutista con quote rilevanti di persone che mangiano verdura e frutta, mentre meno diffusi sono carne, insaccati e soprattutto pesce.
Il salutismo, insieme alla sicurezza, è un riferimento importante per i consumatori, ma non sempre riesce a determinare concretamente quello che le persone mangiano, tanto da generare in molti casi una vera e propria frustrazione di massa per coloro che “vorrebbero mangiare sano ma non ci riescono”.
Anche per questo sta diventando irresistibile la tendenza, che neppure la crisi ha rallentato, a mangiare fuori casa, che è motivata, oltre che dalle ragioni classiche di lavoro e/o convivialità, da una sorta di nuova trasgressione, perché mangiare al ristorante, rispetto al mangiare in casa, è un’occasione per mangiare soprattutto quel che piace, mettendo da parte indicazioni alimentari salutiste. Ristoranti, trattorie, fast food, tavole calde, diventano i luoghi di una estemporanea libertà di mangiare quel che piace, sfuggendo almeno temporaneamente ai diktat delle tante piramidi alimentari